Il buon esempio
un racconto di Emidio Sonnessa
26 luglio, 2023
Claudio aveva finalmente superato quella brutta nostalgia di casa. Da quando aveva trovato lavoro alla Sigma srl (una ditta del territorio piemontese piuttosto famosa nel “mondo delle manutenzione full service” in ambito elettromeccanico) circa 3 mesi prima, aveva vissuto un periodo di sentimenti contrastanti.
Da una parte c’era la gioia di aver trovato un impiego stabile con un contratto di due anni, che a vent’anni appena compiuti, con un diploma di maturità scientifica superato brillantemente ed una improvvisa carenza di motivazione a proseguire all’università, erano tutt’altro che da buttare via, dall’altra però c’era anche quel fastidioso effetto collaterale di chi lavora presso terzi: la trasferta.
Stare lontano da casa, magari anche per quindi o venti giorni consecutivi, condividere pranzi e cene con qualcuno che fino a tre mesi prima nemmeno conoscevi e che sicuramente non avevi scelto tu.
Le prime missioni erano state quanto meno scoraggianti: c’era stato quel Marco, nominato capo squadra da poco, aveva circa 35 anni, chiuso, scontroso, e poco propenso al dialogo. Subito dopo la trasferta con Vladislav (per tutti “Vladi”), con tutta quella serie consecutiva di imprevisti che l’avevano resa interminabile e per di più faceva un caldo infernale.
Poi finalmente l’avevano abbinato a Maurizio: 62 anni, sposato, con tre figli, appassionato di calcio, juventino come lui, carattere solare, mai arrabbiato sul serio, sempre sicuro e consapevole di ciò che andava fatto, autorevole ma non autoritario.
Ormai era più di un mese che facevano squadra insieme e Claudio aveva imparato molte cose da Maurizio, sempre pronto com’era a fornire consigli, a spiegare i dettagli, a coinvolgerlo nelle azioni quotidiane e magari, dopo un rimprovero, anche a stemperare la tensione con un sorriso paterno.
“Dopo tutto hai solo un anno in più di Sabrina, la mia figlia più piccola“ scherzava Maurizio rivolgendosi al suo compagno, “Ed anche la stessa testa dura, aggiungerei!” Ma Claudio non si offendeva perché sì, effettivamente, lui era cocciuto e quel Maurizio gli piaceva proprio!
E così, con l’aumentare della tranquillità sul lavoro, a Claudio progressivamente stavano svanendo anche le ansie personali legate alla distanza da casa ed agli affetti: “Ci si abitua a tutto” pensava tra sé e sé.
“Buon giorno Claudi sempre a pensare alla fidanzata!” la voce di Maurizio lo destò dai suoi pensieri.
“Ciao Maurizio”, gli aveva risposto,”Scusami, ero distratto, ma non ho una fidanzata” e gli aveva sorriso
“E ci mancherebbe che alla tua età tu ne abbia solo una!” aveva ribattuto Maurizio.
Il solito Maurizio, subito di buon umore già al mattino presto. “Peccato che tra 6 mesi se ne va in pensione” aveva pensato Claudio.
Era un sabato di metà autunno in provincia di Vercelli, neppure poi tanto freddo considerato il periodo e la zona; tutta la pioggia degli ultimi giorni però aveva reso l’aria molto umida ed era poco piacevole stare all’aria aperta di primo mattino ma il loro lavoro prevedeva la manutenzione sui trasformatori elettrici in sottostazioni o cabine e quindi, quasi sempre, si lavorava all’esterno.
“Hai sentito l’ufficio poi ieri sera Mauri?” chiese Claudio “Si stacca oggi pomeriggio?”
Maurizio aveva fatto un segno di assenso: ”Sì, oggi si finisce, i parametri misurati dal laboratorio sul campione che abbiamo spedito ieri l’altro sono perfetti!” ed aveva aggiunto: “Te l’avevo detto!” strizzandogli l’occhio.
“Comunque possiamo staccare già stamattina così per pranzo magari siamo a casa ed io riesco anche ad andare a vedere Federico, il mio secondo figlio, che gioca oggi pomeriggio”.
L’idea di tornare a casa un giorno prima faceva piacere anche a Claudio; avrebbe potuto godersi l’intera domenica in famiglia, magari dopo una bella dormita, e poi magari la sera una pizza con gli amici di sempre: la giornata prometteva bene!
Una volta in cantiere i due colleghi hanno cominciato subito a lavorare sodo: Maurizio, nonostante il ruolo, l’età e l’esperienza non era certo uno che si tirava indietro quando c’era da faticare ed anche questo aspetto del suo responsabile piaceva molto a Claudio.
Proprio mentre stava concludendo alcune attività di routine a Claudio aveva pensato al cestello elevatore: era previsto che arrivasse nel pomeriggio per poter raggiungere la parte alta del trasformatore e scollegare l’apparecchiatura che avevano collegato per la manutenzione del medesimo: un’attività di pe sé banale ma che veniva effettuata solo da personale abilitato e Claudio non lo era ancora.
“Mauri, come la mettiamo con quello del cestello?”, aveva chiesto al collega.
“Non preoccuparti, l’ho chiamato io prima ed ho annullato tutto; ce la caviamo lo stesso senza bisogno di lui” aveva risposto Maurizio.
Claudio aveva pensato che effettivamente quell’attività si poteva fare anche con una semplice scala portatile e loro in cantiere ne avevano una; si ricordò però quello che gli aveva raccontato Michele, l’RSPP aziendale, durante il corso di formazione sui rischi specifici di mansione. Gli aveva parlato di rischio lavoro in quota, di abitazioni allo svolgimento di tali attività, di imbracature e Dispositivi di protezione individuale e di terza categoria, di sorveglianza sanitaria.
Per la prima volta da quando lavorava con Maurizio provò un senso di disagio: come poteva dirgli che lui non se la sentiva di salire sopra con una scala?
Maurizio, come sempre, sembrò leggergli nel pensiero e disse: “Non preoccuparti, non ci devi salire tu. Qualche anno fa salivamo sui tralicci come delle scimmie, adesso per raggiungere un metro e mezzo di altezza dobbiamo chiamare l’ascensore come a casa” aveva detto Maurizio sorridendo.
Poi aveva continuato: “Michele è un bravo ragazzo ed è molto preparato; però dovrebbe venire un po’ di più in cantiere perché il nostro non è un lavoro che si impara stando alla scrivania, e gliel’ho anche detto parecchie volte !!”
“Non si corrono rischi inutili, ma almeno salire su di una scala!” aveva concluso allargando le braccia.
Ma quello che è successo dopo è stata la causa di tante notti insonni di Claudio.
La scala appoggiata al trasformatore, l’imbracatura presa dal furgone e indossata da Maurizio, le parole del collega che gli chiedeva di andare a prendere qualcosa nell’ufficio che gli era stato concesso in uso dal cliente (forse i documenti di riconsegna are, non era mai più riuscito a ricordarlo) e lui che si avviava verso il caseggiato a fondo piazzale con uno strano senso di disagio, inspiegabile.
Poi all’improvviso quel rumore acuto, metallo che sbatte sul cemento; nessun grido, nessun altro suono, dopo solo silenzio.
Claudio si era girato d’istinto ma in realtà non aveva realizzato subito cosa fosse successo, sarà stato ad almeno 50 metri dalla loro area abituale di lavoro.
Poi aveva capito che qualcosa era cambiato rispetto a quando si era allontanato e immediatamente aveva provato freddo, nonostante fosse accaldato dell’intenso lavoro svolto fino a quel momento: d’istinto aveva cominciato a guardarsi intorno cercando qualcuno, come se ci potesse essere qualcuno di sabato mattina in una sottostazione elettrica del vercellese, ovviamente non c’era nessuno.
Alla fine, era arrivato vicino al trasformatore: non aveva corso, e non si sarebbe mai potuto spiegare il perché…sembrava quasi che non si ricordasse come si corre e lì aveva visto Maurizio a terra, immobile, di fianco alla scala non più appoggiata al trasformatore ma sdraiata a terra; poco più in là un elmetto, alieno oggetto giallo che risaltava sull’asfalto grigio scuro.
Claudio, in pieno panico, si era chiesto cosa fare: urlare? Andare vicino al collega per vedere come stesse? Correre fuori a chieder aiuto? Poi aveva preso dalla tasca lo smartphone e, dopo essersi sforzato di ricordarsi il numero dell’ambulanza (possibile che il “118” proprio non gli venisse in mente ?!…), aveva chiamato.
I soccorsi erano arrivati dopo interminabili minuti e da quel momento il tempo aveva cominciato a correre veloce: le domande dell’operatore del 118: “Cosa è successo? Ha avuto un malore? È scivolato? Da dove è caduto?”, l’ambulanza che parte a serene accese, lui che chiama il responsabile di commessa, tanta confusione.
Dalle finestre della sala d’attesa dell’ospedale filtrava la luce artificiale dei lampioni esterni, si era fatta sera; Claudio non si ricordava neppure da quanto tempo era lì. Stava seduto in disparte sull’ultima sedia prima della porta di uscita, ancora vestito con gli abiti da lavoro.
Dall’altra parte della sala poteva scorgere un ragazzo poco più grande di lui che teneva la mano ad una bella signora di mezza età; lo aveva già incontrato una volta: era Federico, il figlio calciatore di Maurizio, ma niente partita quel giorno per lui.
In piedi, molto più agitato, c’era un altro ragazzo; assomigliava molto a Maurizio.
Doveva essere il figlio maggiore ma, nonostante provasse a concentrarsi, non riusciva a ricordarsi come si chiamava.
Seduta in disparte una ragazza; su di lei Claudio non aveva dubbi anche se non l’aveva mai vista prima: doveva essere Sabrina, la figlia minore, quella testarda come lui: chissà perché se l’era sempre immaginata bionda, invece era mora, come tutte il resto della famiglia.
In piedi al centro della stanza c’erano parecchi colleghi della Sigma srl; alcuni non li conosceva neppure. C’era Michele, l’RSPP, che parlava con il figlio maggiore di Maurizio che continuava a scuotere la testa; in altro gruppetto c’era l’Amministratore unico ed altri membri della direzione.
Claudio, da dov’era seduto, non riusciva a sentire bene cosa si dicevano: “Probabilmente un capogiro” “La scala non era legata” “Ma perché era da solo?”
Poi Michele gli si era avvicinato e si era seduto sulla sedia accanto: “Claudio, Mauri è in coma. Ha un forte trauma cranico oltre ad alcune fratture in giro. Il figlio mi ha detto che lo stanno operando per fermare l’emorragia cerebrale”.
Claudio non aveva neppure girato la testa verso il collega.
Michele aveva continuato: “Vai a casa adesso, sarai stremato. Lunedì sicuramente ti chiederanno di raccontare cosa è successo perché eri l’unico presente al momento dell’incidente”.
Claudio era a disagio: dopo tutto lui non aveva neppure visto cosa fosse successo, si sentiva in colpa per questo.
Provava tanta confusione, però una cosa l’aveva chiara in testa e cioè che cosa avrebbe detto come prima cosa a chiunque lo avesse interrogato: “Maurizio è il mio responsabile e mi ha sempre dato il buon esempio”.