E’ veramente possibile semplificare?
di G. Porcellana e M. Montrano
Semplificare significa rendere più semplice. In questo senso, rendere più semplice l’applicazione di una normativa come quella in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro rappresenta, senza dubbio, un vantaggio per tutti gli operatori. Ad una condizione però: i livelli di tutela devono essere comunque garantiti. Ma allora si può semplificare la complessità senza ridurre i livelli di tutela? Non sempre le “ricette” sin qui proposte hanno raggiunto lo scopo. Si ricorderà una misura di semplificazione “draconiana” costituita dalla possibilità, un tempo riconosciuta alle aziende sino a dieci lavoratori, di autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi. Tale semplificazione, sicuramente gradita ad una fetta dei soggetti obbligati, finiva, in molti casi, per svuotare di significato concreto la misura di prevenzione primaria prevista dalla norma di tutela, ovvero la valutazione dei rischi. L’abolizione della norma sull’autocertificazione, sulla quale incombeva anche una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, “desemplificava” il compito di migliaia di datori di lavoro ai quali si cercava di venire in soccorso con una nuova misura di semplificazione: le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 6, comma 8, lettera f) e dell’art. 29, comma 5 del D.lgs. 81/08. Chi si attendeva da tali procedure una semplificazione si è presto reso conto che le stesse erano in molti casi più complete e complesse dei documenti “tradizionali”. Nella nostra esperienza è oggi abbastanza limitato l’uso di tali procedure standardizzate anche nelle aziende che ne potrebbero beneficiare, poiché la complessità della valutazione rimane (i rischi bisogna valutarli, tutti!) e quindi i consulenti incaricati preferiscono utilizzare il proprio “metodo tradizionale” piuttosto che avventurarsi tra le tabelle proposte dalla Commissione Consultiva Permanente. Valutare tutti i rischi, così come chiede la norma è una operazione complessa, anche per le aziende di piccola dimensione, in relazione alle condizioni di pericolo effettivamente presenti nell’attività, e il livello di approfondimento della valutazione deve, in ogni caso, consentire l’individuazione e l’adozione delle misure di prevenzione e protezione più adeguate a tutelare il lavoratore, non essendo neppure ipotizzabile, né sul piano etico né sul piano normativo, livelli di tutela diversi a seconda della dimensione aziendale. Il tentativo di “standardizzare” si scontra con la necessità di contestualizzare l’applicazione concreta delle misure di sicurezza e, a ben vedere, la distanza e l’equilibrio tra queste due modalità di intendere il progetto della sicurezza aziendale riporta alla diversa filosofia che ha caratterizzato le norme degli anni ’50 rispetto alla più recente normativa di derivazione europea. Non appare neppure agevole una semplificazione degli adempimenti documentali poiché è normale che la valutazione dei rischi richieda la redazione di relazioni tecniche, certificazioni di misure e di rilievi, ecc. che è impossibile pensare di redigere in modo diverso dalla forma scritta o dalla forma digitale. E, in ogni caso, è necessario che venga lasciata traccia (con data certa o certificata) dei criteri e delle scelte adottate nel percorso valutativo. Non meno importante è l’individuazione delle misure, molto spesso procedurali, che debbono essere adottate per governare i rischi individuati. E anche in questo caso è molto più pratico che tali procedure siano scritte. Sarebbe necessaria una maggior disponibilità di soluzioni proposte attraverso linee guida e buone prassi, lasciando alla responsabilità del datore di lavoro la valutazione concreta della scelta della miglior soluzione a tutela dei propri lavoratori. Un vero e proprio esercizio di “sartoria” che il datore di lavoro esegue con il proprio sistema di prevenzione aziendale. Ma ci si rende conto che per attuare una tale politica occorre, in ogni caso, una competenza specifica, che in molti casi manca. La ridotta o ridottissima dimensione della maggior parte delle imprese pone un problema di risorse umane e materiali non adeguate a far fronte agli adempimenti richiesti dalla norma e neppure gli strumenti di semplificazione oggi definiti sembrano alla portata di queste realtà, che si vedono costrette a rivolgersi a professionisti esterni. Per assurdo la soluzione di questo problema potrebbe passare attraverso un aumento della complessità, adottando politiche che indirizzino all’aggregazione delle microimprese, magari sfruttando il ruolo, sin qui complessivamente deludente, della pariteticità. Altro tentativo di semplificazione, sicuramente interessante è costituito dal decreto 13 febbraio 2014 (avviso in Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2014) recante «Procedure semplificate per l’adozione de modelli di organizzazione e gestione (MOG) nelle piccole e medie imprese (PMI)». La letteratura porta in evidenza la riduzione degli indici di frequenza e degli indici di gravità degli infortuni sul lavoro per le aziende in cui sia applicato efficacemente un Sistema di Gestione di Sicurezza Lavoro (SGSL) e quindi una maggior diffusione dell’applicazione dei sistemi di gestione della sicurezza non può che essere favorita. Ma la proposta rivolta alle piccole e medie imprese contenuta nelle procedure semplificate sopra citate non convince appieno. Al di là di alcune imprecisioni presenti nel documento, e pur riconoscendo l’impegno a fornire una traccia di lavoro, non può sfuggire il fatto che la complessità, non semplificabile, è quella dei contenuti delle procedure e della assimilazione concreta nella pratica aziendale dei meccanismi del modello. In altri termini, l’adozione e l’efficace applicazione di un SGSL richiede impegno e risorse e chi si aspettava la possibilità di raggiungere l’obiettivo compilando dei semplici moduli rischia di rimanere deluso. Si potrebbe invece semplificare quella parte della norma dove ancora si prevede una valutazione preventiva da parte degli organi di vigilanza. Si pensi ad esempio all’articolo 67 del D.lgs. 81/08 che, ereditando il testimone dal precedente articolo 48 del DPR n. 303/56, ancora oggi richiede la notifica all’organo di vigilanza in caso di costruzione e di realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali, nonché nei casi di ampliamenti e di ristrutturazioni di quelli esistenti. La procedura prevista dal DPR 7 settembre 2010, n. 160, e la specifica modulistica approvata dal DM 18/4/2014 comprimono i tempi di analisi dei progetti e riducono, rispetto al passato, le informazioni disponibili per l’organo di vigilanza. Anche la pratica amministrativa disciplinata dall’articolo 256 del D.lgs. 81/08 in relazione alla rimozione di materiali contenenti amianto che attualmente prevede la presentazione di un piano di lavoro all’organo di vigilanza, che ha a disposizione un termine di trenta giorni per impartire eventuali prescrizioni operative o richiedere integrazioni non ha dimostrato evidenze preventive. Una forma di semplificazione possibile potrebbe essere quella di limitare l’obbligo alla notifica già prevista dall’art. 250 del D.lgs. 81/08 assicurando un minimo di preavviso per consentire all’organo di vigilanza l’eventuale programmazione dei controlli. Se è vero, come è vero, che tutti gli attori del sistema richiedono una semplificazione degli adempimenti, il “rischio” che si corre è quello di indebolire le tutele, dunque la semplificazione dovrebbe agire su quelle norme che non hanno dimostrato di produrre effetti preventivi efficaci, mentre difficilmente si potrà agire sui capisaldi della normativa costituiti dalla valutazione dei rischi e dalla individuazione e adozione delle conseguenti misure di prevenzione e protezione, campi nei quali un’opera di aiuto alle imprese potrebbe essere costituita da una maggiore disponibilità di buone prassi e linee guida.
Alla fine del 1800, due giornalisti tedeschi, attraverso un giornale satirico-umoristico intitolato “Simplicissimus” furono imputati di lesa maestà per aver pubblicato articoli palesemente contrari al regime tedesco e alla chiesa. Speriamo di non correre lo stesso rischio affermando che le strade sino ad oggi percorse dal legislatore per cercare di “semplificare” gli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro sono miseramente fallite. Il riscontro di tale affermazione è facilmente individuabile dallo sconforto espresso dagli addetti ai lavori dopo la lettura di ogni nuovo provvedimento emanato in tal senso con l’impressione netta e chiara che le tanto declamate semplificazioni spesso portano con sé ulteriori complicazioni soprattutto di tipo interpretativo. Se questo è il risultato forse allora è meglio smettere. Sic et simpliciter.